Opinioni

A proposito di ideologia

Josef Wilczynski nel suo The Economics of Socialism (1970, ed. italiana L’economia dei paesi socialisti, 1973) ricorda che il termine socialismo apparve in Inghilterra nel 1826, per poi affermarsi definitivamente a partire dal 1830. Un secolo dopo, secondo lo studioso inglese D.F. Griffith (What is socialism? 1924), circolavano nel mondo più di 260 definizioni dello stesso termine. Nessuno si è preso la briga, almeno che io sappia, di indagare sugli sviluppi del secolo successivo, ma credo che ormai saremo giunti a diverse centinaia di definizioni. Con una complicazione: negli ultimi cento anni socialismo e sinistra sono andate sempre più identificandosi, con sinistra che ha assunto il ruolo di rappresentazione, nell’era della globalizzazione, di matrice, di origine, di derivazione.

E la sinistra non è univoca. Anzi. La differenziazione ideologica è una costante (storica) delle sinistre e del socialismo: si può dire che socialismo e scissioni siano da sempre in corrispondenza biunivoca: alla base c’è la purezza ideologica. Tanto che Nenni – che ne aveva vissute tante- riassunse in una celebre frase questa tragedia: a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura.

Nei primi anni ’60 Mao Zedong, leader indiscusso della nuova Cina socialista, in due articoli apparsi sul Quotidiano del Popolo, organo del Partito comunista cinese, dal titolo significativo ‘Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi’, definiva il Segretario del PCI come un agente dell’imperialismo. Togliatti!

Un elemento centrale dell’ideologia socialista (sia del socialismo reale, di matrice comunista, sia della socialdemocrazia internazionale, di matrice riformista) è stato per un’intera epoca storica il controllo pubblico dei settori economici e sociali portanti dell’economia.

Agli inizi degli anni ’80, per motivi di lavoro, accompagnavo in giro per l’Italia un ministro del Governo mozambicano, per una serie di incontri con imprenditori e organizzazioni italiani. Il ministro era membro del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico), organizzazione di ispirazione marxista, che stava ‘edificando nel Paese il socialismo’.

Mentre eravamo in viaggio, il mio ospite mi chiese alcune informazioni sulle forme di proprietà nell’economia italiana. Gli spiegai che erano interamente pubbliche o sotto il controllo pubblico le ferrovie, le poste, le scuole, tutte le maggiori banche, il sistema sanitario, le Università, alcune grandi aziende strategiche (telefoni, acciaio, chimica), l’energia elettrica, il gas e via discorrendo.

Meravigliato, mi disse che c’era più socialismo in Italia che in Mozambico, e senza rivoluzione. Non era un caso, che proprio in quegli anni, Berlinguer parlasse dell’Italia come di un Paese capitalistico in cui erano stati introdotti elementi di socialismo.

Ma la caduta del Muro di Berlino non ha seppellito soltanto l’Unione Sovietica e i Paesi a socialismo reale (o realizzato, per i puristi), ma anche la visione ‘pubblica’ delle socialdemocrazie. Negli ultimi trent’anni il crollo dei partiti socialisti europei è stato verticale: il labour inglese, i socialisti francesi, la SPD tedesca, le esperienze scandinave, i socialisti greci. Tutti ridotti ai minimi termini. Per non parlare dell’Italia. La strumentazione ideologica e l’apparato programmatico del socialismo internazionale si sono rivelati completamente non idonei ad affrontare i cambiamenti introdotti dall’informatica diffusa, dalle nuove forme di comunicazione, dalla globalizzazione.

Di fronte allo smarrimento generale di vecchie e consolidate certezze, il riflesso condizionato porta a trovare rifugio nell’intransigenza e nel richiamo ai valori ideologici storici (Linke, in Germania; Podemos in Spagna; La France Insoumise, in Francia; fino alle suggestioni socialiste di Sanders e Ocasio-Cortez; e via di seguito).

Oggi il problema, invece, è trovare una via d’uscita da queste strettoie, nel momento in cui le forze sovraniste, reazionarie (quando non apertamente fasciste), xenofobe e razziste sono in forte crescita (e la vittoria di Biden, seppur essenziale, non basta a fermare l’onda nera che sta contaminando il mondo intero).

Una nuova ideologia, quindi? Direi di no. Oggi le forze progressiste (socialisti, ecologisti, liberaldemocratici, una parte dei popolari) possono convergere su un sistema di valori, che superi gli steccati delle singole appartenenze ideologiche, e consenta la definizione di piattaforme di governo, per la gestione di temi epocali, che non hanno sempre soluzioni univoche.

Ma quali sono i valori che entrano a far parte di questo sistema? Fare un elenco è impossibile. Ma ci sono punti cardine, che qualificano il quadro di riferimento. Antifascismo e memoria storica; antirazzismo e accoglienza; parità di genere; autodeterminazione della donna; cooperazione internazionale e integrazione (per noi europei, gli Stati Uniti d’Europa); modello di sviluppo vincolato alla sostenibilità ambientale; difesa del valore del lavoro; economia sociale di mercato; riconoscimento del merito come elemento di crescita sociale; trasparenza, lotta alla burocrazia; centralità dell’educazione e della formazione professionale.

L’elenco è sicuramente più vasto ed articolato, ma queste sono le condizioni minime. Perché i problemi vanno affrontati e risolti, i processi vanno gestiti e non demonizzati.

Deng Xiaoping (eroe della Lunga Marcia e compagno d’armi di Mao, che però durante la Rivoluzione Culturale non esitò ad epurarlo e a mandarlo a lavorare nelle campagne) a chi sosteneva che per risolvere i problemi o gestire progetti si doveva ricorrere a ‘esperti’ (cioè capaci e qualificati), ma ‘rossi’ (cioè ideologicamente conformi), rispondeva: non è importante che il gatto sia grigio o nero; l’importante è che acchiappi i topi.

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