Affari

C’erano una volta i Prosciutti DOP

Un paradosso tutto italiano.
Noi il Made in Italy lo tarocchiamo direttamente alla fonte.
Prosciutti DOP di Parma e San Daniele taroccati.

Le indagini su Prosciuttopoli
E’ scattata in Italia una grossa inchiesta giudiziaria circa l’autenticità del Prosciutto di Parma DOP e San Daniele.
Nello specifico la Procura di Cremona ha condotto perquisizioni in alcuni macelli della Lombardia e del Piemonte per verificare eventuali violazioni o frodi sulla produzione di carni destinate al circuito dei prosciutti Dop. Le perquisizioni sono state eseguite dagli ufficiali di polizia giudiziaria del settore repressione frodi del ministero delle Politiche agricole di Roma.
La notizia è stata pubblicata per prima alcuni giorni fa da Sara Pizzorni, giornalista del quotidiano online Cremona Oggi ed esperta di giudiziaria. Notizia comunque ne ripresa ne presentata dalla grande stampa come doveva essere per la sua gravità.

Che cosa è successo in pratica.
I produttori/allevatori, al fine di aggirare le rigide regole imposte dai disciplinari del prosciutto di Parma e di San Daniele (forse in accordo con i macellatori e i prosciuttifici), hanno utilizzato per inseminare le scrofe, seme di Duroc danese o di altre razze vietate a crescita rapida. Ossia con una crescita che impiega circa la metà di tempo di una scrofa tradizionale con ovvi e conseguenti differenze, anche sostanziali, nell’equilibrio tra grasso e carne e relativa qualità alimentare. Non che le scrofe danesi facciano male, per carità in Danimarca le mangiano quotidianamente e non muore nessuno, ma sicuramente non rispecchiano il disciplinare imposto dal consorzio.
Lo scopo è ottenere animali che crescono velocemente con meno mangime e che rendono meglio nella fase di vendita sul mercato. Il Duroc danese è infatti un maiale dall’aspetto “gonfio” (come il fisico di un bodybuilder) che cresce in fretta, con poco grasso e una massa muscolare ricca di acqua, inadatta per la lunga stagionatura dei prosciutti Dop.
Secondo il disciplinare le cosce dei prosciutti di Parma e di San Daniele devono invece provenire da cosce di suini di razze pesanti, con una muscolatura tenace e molto grasso sottocutaneo. Il disciplinare prevede la macellazione dopo almeno nove mesi, quando gli animali arrivano a 160 kg (con un’oscillazione del 10% fra 146 e 176 kg). Ma i maiali di Duroc danese, già dopo otto mesi raggiungono il peso massimo, da qui la necessità di cambiare le date di nascita per farli risultare più vecchi.
Il consumatore convinto di mangiare un prodotto DOP e made in Italy mangia un prodotto gonfiato e made in Danitaly.

Quello che accade poi, o che stanno tentando di far accadere, è il gran paradosso del quale voglio parlarvi appunto.
Un paradosso che sono capaci di pensare solo gli italiani e che spero non possa essere permesso.

Se i disciplinari vengono violati, o sono troppo difficili o sconvenienti per essere rispettati, la soluzione italiana NON è imporne il rispetto, ma cambiarli affinchè le violazioni non siano più violazioni. Ci lamentavamo delle leggi “ad personam”, ma in Italia si fanno anche i disciplinari a convenienza.
Per rendersene conto basta leggere la proposta dei nuovi disciplinari firmati dai consorzi del prosciutto di Parma e di San Daniele e inviati per l’approvazione al ministero delle Politiche agricole per rendersi conto della situazione.
Nei nuovi disciplinari e nel nuovo piano di controllo del Prosciutto di San Daniele ci sono diversi aspetti che garantiscono una maggiore tracciabilità della filiera attraverso una documentazione specifica. C’è però un punto che modifica in modo sostanziale le regole precedenti e apre la strada alla produzione di prosciutti fino ad ora considerati illegali perché provenienti da maiali di razze a crescita rapida. Secondo il nuovo testo si potranno allevare animali che dopo nove mesi raggiungono il peso record di 205-207 kg, con punte di 215 anziché di 176 kg fino ad ora considerati la media del limite massimo per partite di suini omogenei inviati al macello.
Quindi? Sostanzialmente si aggira l’ostacolo e si cede ai maiali inseminati con razze Danesi.
Non c’è certo bisogno d’essere esperti per capire che superare dopo 9 mesi i 200 kg è possibile solo utilizzando animali che crescono in fretta. Questo vuol dire ricavare un tipo di carne diversa, caratterizzata da meno grasso di copertura e maggiore umidità. Gli allevatori avranno tutto l’interesse a scegliere animali che pesano di più, assicurandosi maggiori guadagni nella fase di vendita al macello. Perché il punto alla fine è sempre questo. Si creano marchi di qualità, disciplinari, zone protette ecc, ma non certo a favore della qualità, ma per aumentare il prezzo.
Per guadagnare sempre di più. E per farlo sempre sulle spalle di chi si fida, di chi ignaro compra.

Per capire meglio la situazione, basta ricordare che la scelta di allevare animali non adatti al circuito dei prosciutti Dop è stata la causa principale di Prosciuttopoli, uno scandalo che in due anni ha coinvolto oltre tre milioni di cosce. È vero che i nuovi disciplinari individuano una lista di razze autorizzate e prevedono controlli genetici severi, ma nella realtà fare questi controlli è complicato e laborioso. E comunque verranno fatti a campione. E comunque serviranno solo per ingenerare un nuovo flusso di piccole mazzette e regalia di prosciutti (quelli buoni però).
Si tratta tuttavia e comunque di regole già esistenti, che non hanno evitato uno scandalo dalle dimensioni esagerate come quello smascherato negli ultimi due anni.

Gli allevatori avranno tutto l’interesse a scegliere animali che pesano molto di più assicurandosi così maggiori guadagni.
Questo poi è l’unico vero vantaggio.

Al di là delle dichiarazioni rassicuranti e di parte, assolutamente di parte, di Maurizio Gallo (dell’Associazione Nazionale Allevatori Suini) e Carlo Galloni (della Direzione Unione Parmense degli industriali) la realtà sconcertante è che non esistono studi o ricerche in grado di dimostrare che da cosce di animali allevati per 9 mesi e pesanti oltre 200 kg si ottengono prosciutti di buona qualità. Gli esperti hanno sempre considerato le razze di maiali a crescita rapida non adatte a garantire una buona stagionatura. “Le statistiche – precisa Luca Fontanesi del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna – indicano che quando si usano suini a crescita rapida e di genetiche che non considerano la qualità del prosciutto come obiettivo primario della selezione, la percentuale di cosce non conformi o non idonee e quindi scartate è molto maggiore rispetto all’utilizzo di suini selezionati in modo specifico per la produzione di prosciutti Dop.
Le caratteristiche del prosciutto Dop vanno mantenute e valorizzate allo scopo di differenziare il prosciutto marchiato proprio da prodotti di scarsa qualità o generici, troppo magri e dal gusto
appiattito o da carni “gonfiate”, geneticamente modificate.
Chi desidera comprare questi prosciutti lo può fare acquistando altri prodotti, senza pretendere che la Dop venga snaturata. Il prosciutto Dop si deve differenziare dagli altri e il consumatore deve assolutamente percepire e apprezzare la qualità superiore. Se le diversità diminuiscono – continua Fontanesi – la Dop si omologa agli altri prodotti e non ci sono motivi per pagare di più. E’ necessario confermare nei disciplinari la genetica tradizionale e predisporre piani di controllo efficaci per prevenire e contrastare derive. Altrimenti c’è il serio rischio di perdere la tipicità del prosciutto italiano. Usare razze a crescita rapida per i prosciutti Dop, considerando il fatto che la qualità del prodotto finale in generale diminuisce e che anche gli allevatori vedrebbero un mancato ricavo per l’aumento della percentuale di cosce scartate, il consumatore non è tutelato ma alla fine nemmeno l’allevatore lo è, e nel lungo periodo si avrà un impatto negativo sull’intera filiera”.

La cosa poi particolarmente preoccupante è che nessun prosciuttificio ha preso ufficialmente posizione su questo problema. C’è di più: i consorzi hanno redatto la bozza dei disciplinari senza consultare tutti i soggetti della filiera come sarebbe logico. Basti pensare che il testo inviato al ministero è tuttora “secretato” e che dalla preparazione sono state escluse realtà come Confagricoltura, che rappresenta una fetta importante degli allevatori. “Abbiamo proposto – precisa Claudio Canali presidente degli allevatori suinicoli di Confagricoltura – che la procedura di istruttoria e validazione per la genetica dei suini sia affidata ad un ‘Comitato scientifico interdisciplinare di valutazione’ composto da esperti genetisti cui affiancare un ‘Gruppo consultivo interprofessionale’ di operatori della filiera ed a cui spetterebbe il compito di indirizzare e valutare i lavori del Comitato Scientifico”.

Il problema sostanziale, così come malauguratamente accade (vedi Olio di Palma, D’oliva ecc) è che i disciplinari e le regole di allevamento e verifica siano fatte, organizzate e decise, da associazioni degli stessi produttori. Devono essere necessariamente controllate, decise e varate da enti esterni, assolutamente slegati dai produttori e totalmente ed unicamente a favore del consumatore, della qualità della vita di questo ed anche, se permettete, della qualità della vita e della morte dei maiali stessi.

Quale è la soluzione.
Semplice!!
Comprare il prosciutto dai piccoli produttori noti, di fiducia. Dai contadini del proprio territorio.
Da quelli che poi… lo mangiano anche loro.

Un caro saluto

MG

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MG

Marcello Gianferotti, classe 1966, ha iniziato a viaggiare all’età di 15 giorni. Prima la Tunisia, poi il Madagascar, l’Italia e ora la Spagna: non si è mai fermato. Grande appassionato di scrittura, è referente iberico del circuito Sviluppo Europa e gestisce, oltre a SamizdatVoz, anche il suo blog culinario marcellogianferotti.org.

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