E l'Asia par che dorma

Un Paese, due ombrelli: Taiwan

La notizia non interessa quasi nessuno, al di fuori dei servizi segreti delle grandi potenze e degli esperti di geopolitica, ma il fatto – se confermato – riveste particolare importanza per gli equilibri dell’area. E quegli equilibri riguardano, nel bene e nel male, tutto il mondo.

Il 17 novembre, alle ore 18 e 07, dopo appena due minuti dal decollo dalla base aerea militare di Hualien, il jet militare F-16 pilotato dal colonnello Chang Chen-chih dell’aviazione di Taiwan è scomparso dai radar dell’aeroporto da cui era partito.

‘Disperso in mare, le ricerche continuano’, il laconico quanto generico comunicato del Ministero taiwanese della Difesa. Ma a complicare le cose, sono apparsi sul web due comunicati – provenienti dalla Repubblica popolare cinese – piuttosto entusiasti.

“Ultime notizie! Un F-16 è atterrato alla base di Xiamen” (nella Cina continentale)”, e ancora un anonimo su Twitter consiglia, ironicamente, alle autorità taiwanesi: “Sospendete le ricerche. È nella base aerea di Xiamen.” Con tanto di foto di un F-16 (ma non è chiaro se sia quello del colonnello Chang).

Il Ministro della Difesa Nazionale di Taiwan, Yen De-fa, in una conferenza stampa di fronte allo Yuan Legislativo (Parlamento) a Taipei, ha liquidato come “chiacchiere”, artatamente messe in circolazione sul web da gruppi anonimi gestiti dal Partito comunista cinese, tutte le notizie diffuse sulla presunta defezione. Anche la Presidente della Repubblica, Tsai Ing-wen, è intervenuta con un messaggio televisivo, per bollare come false le notizie diffuse via internet. Ma, a giorni di distanza e dopo lunghe ricerche in mare, dell’F-16 e del suo pilota nessuna traccia.

Strano destino e strana situazione, quelli della Repubblica di Cina, meglio nota come Taiwan. Fondata nel 1949 da Chiang Kai-shek, che, in fuga da Chendu sotto l’incalzare dell’esercito di Mao Zedong, trova scampo a Formosa e la occupa militarmente: come bottino si porta tutte le riserve auree della Madrepatria e quasi 700 mila pezzi d’arte cinesi (8000 anni di storia, esposti nel Museo Nazionale di Taipei), che la dice lunga da quanto tempo il Generalissimo stesse preparando i bagagli per fuggire.

Dal 1949 ai primi anni ’70 Taiwan sarà riconosciuta come unica e legittima rappresentante della Cina, perché Chiang adotta, simmetricamente, la stessa politica di Mao: la Cina è una, si tratta solamente di eliminare gli usurpatori di Pechino. L’Amministrazione Nixon stravolge la situazione: la Repubblica popolare è l’unica Cina e Taiwan ne è parte integrante. Uno schiaffo in faccia a Chiang Kai-shek, sia da parte del nemico storico, Mao, sia da parte dall’alleato più importante, gli USA, che negli anni avevano trasformato Taiwan nella più grande portaerei americana, ormeggiata a due passi dalla Cina comunista. La Repubblica popolare cinese prende posto in tutte le organizzazioni internazionali, a partire dal comitato permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e a scendere in tutte le agenzie da essa dipendenti. Taiwan è fuori anche dal CIO e se vuole partecipare alle Olimpiadi lo può fare sotto il nome di ‘Cina-Taipei’.

Oggi Taiwan è praticamente ai margini dello scenario politico mondiale e il suo peso specifico prossimo allo zero: intrattiene regolari rapporti diplomatici con solo sette Paesi, tra i quali il più importante è la Città del Vaticano (gli altri sono Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Isole Marshall e Nauru). Emblematica di questo isolamento è la situazione del Covid-19: in 10 mesi Taiwan ha registrato, in totale, 561 casi e solo 7 morti, con circa 25 milioni di abitanti. Segnale di una capacità di risposta alla pandemia di assoluta eccellenza. Nonostante questo, la Cina, solo pochi giorni fa, ha posto il veto alla partecipazione di Taiwan agli incontri tecnici presso l’OMS, veto che la comunità internazionale ha accettato senza battere ciglio.

La Repubblica popolare cinese tiene aperto su Taiwan il minaccioso ombrello dell’invasione, che scatterebbe nel caso lo slogan “Taiwan ai taiwanesi’- che negli anni ’80 ha portato la nuova generazione dei nativi al potere, eliminando il blocco del Kuomintang, dopo la morte nel 1975 di Chiang Kai-shek – si dovesse trasformare in una dichiarazione indipendentista e con l’affermazione dell’esistenza di ‘due-Cine’. Ciò non ha impedito che negli ultimi 30 anni l’integrazione economico-commerciale tra Pechino e Taipei procedesse in modo esponenziale: gli investimenti taiwanesi in Cina dal 1991 ad oggi hanno raggiunto i 200 miliardi di dollari. Ancora più evidente l’integrazione dal punto di vista del commercio estero: il 27,9% delle esportazioni di Taipei, pari a 91,9 miliardi di dollari, vanno in Cina (dati 2019).

L’ombrello statunitense serve a garantire, politicamente e militarmente, la copertura di Taiwan dalle minacce cinesi, ma serve soprattutto a tenere vincolato alle politiche americane un alleato che non ha altre scelte. Per decenni gli USA hanno finanziato lo sviluppo taiwanese (cessioni licenze e diritti d’autore gratuiti, investimenti diretti, doni, accordi di formazione universitaria, acquisto merci ecc.): oggi Taiwan è l’undicesimo partner commerciale degli Stati Uniti. Ma tutto ha un prezzo. La protezione americana prevede, per Taiwan, l’azzeramento dell’autonomia politica a livello internazionale; la militarizzazione totale del territorio (con acquisto di ingenti attrezzature militari – tra cui gli F-16); l’accettazione di importare beni concorrenziali alla produzione locale (è di questi giorni la grande manifestazione di piazza contro la ventilata importazione dagli USA di maiali allevati con sostanze chimiche dannose alla salute). E, soprattutto, la fedeltà assoluta.

I recenti risultati delle elezioni presidenziali americane hanno messo in crisi il Governo di Taipei: Trump garantiva, con la sua aggressività, una linea dura verso la Cina, che a Taipei non dispiaceva, anzi. Biden ha una visione meno virulenta del confronto, ma in ogni caso e comunque garantirà i privilegi imperiali americani, che vanno al di là e sono al di sopra delle differenze storiche tra Repubblicani e Democratici. E, di fronte al crescente strapotere della Cina, questo atteggiamento è un bene per Taiwan e non solo.

Ma, prima o poi, uno dei due ombrelli si chiuderà e, qualunque esso sia, il destino di Taiwan è segnato.

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