Opinioni

L’antidoto di Bartleby all’ideologia Homo Homini Virus di Recalcati

Foto di Sonia Capuccini (CaoS Photo)

 

“Beati quelli che ignorano che maturare è assistere all’aggravarsi delle proprie incoerenze e che questo è il solo progresso di cui dovrebbe essere permesso vantarsi”.
(Emil Cioran) 

In risposta all’intervista a Massimo Recalcati dal titolo “A Cacciari e Agamben dico: la filosofia può rendere ciechi”, apparsa su Huffpost.

Se esiste o no il rapporto sessuale è lo stesso Recalcati a dire che “questa domanda non avrebbe senso se non in un ambiente lacaniano” (come a dire che all’interno di una setta vi è una particolare forma mentis a cui bisogna che ognuno sia prima iniziato).

La tesi o la pretesa con cui si tende ad affermare a tutti i costi il discorso di Lacan (il quale, per via di un particolare e sublime cinismo che gli è proprio si caratterizza come il nuovo discorso del padrone) coglie una verità che è propria della struttura, vale a dire la verità lapalissiana secondo cui i due elementi della coppia non possono fondersi per effetto della sola grazia ricevuta dalla fantasia di divenire Uno. Un fatto che proprio per questo si definisce come desiderio fusionale da cui prende forma l’esperienza dell’amore.

Così, poiché il desiderio amoroso è anche teso al rapporto sessuale (da cui deriva la fantasia onnipotente di fare o essere Uno con l’Altro), è ripercorrendo gli stessi passi falsi del gran guru che Recalcati finisce per sostenere che è soltanto il segreto inassimilabile dell’Altro a costituire l’esclusiva verità e non anche l’amore carnale. Sicché, dopo questo salto con doppia piroetta, ecco che Recalcati conclude dicendo che “è proprio il non rapporto a rendere possibile l’amore come rapporto”, adagiandosi così su un sapere di già acquisito dall’esperienza comune. Infatti, per dirla al di fuori dalla contorta fraseologia lacaniana, è ormai patrimonio dalla saggezza popolare che l’amore in quanto passione (da cui derivano i patimenti d’amore e il pathos come eccellenza del proprio sentire) è proprio ciò che pulsa in certa produzione cinematografica e letteraria quando si tende verso qualcosa che non si può avere.

Qual è allora la differenza tra la versione lacaniana dell’amore spostato sul piano mentale del dominio intellettuale al culmine di una giostra di parole e il desiderio di ciò che sfugge come esperienza carnale a cui si cerca in tutti i modi di attingere? Denis De Rougemont, nella sua analisi su “L’amore e l’Occidente“, si tiene opportunamente lontano dalla trappola di quell’intricato labirinto che è la metafisica psicoanalitica. Secondo Rougemont si tratta di due diversi modi di amare, il primo equivale ad un modo di amare l’amore (inteso come amore-passione), mentre l’altro tipo di amore non prevede l’amore per l’Altro (vale a dire un astratto ideale dentro di sé) ma l’amore per l’altro reale fuori di me.

Siamo dunque di fronte ad una modalità autoreferenziale e narcisistica di dire dell’amare che se da un lato rinuncia all’illusione di poter mai carpire il segreto dell’altro, non perde tuttavia occasione di affermare la supremazia della stessa parola psicoanalitica come significante che va al di là del principio di piacere. Ecco allora il godimento in cui tutto si compie nella seduzione della sublime parola psicoanalitica quale espressione della sublimazione del desiderio là dove non c’è più possibilità di un amore carnale. È soltanto qui che mi è possibile essere d’accordo con l’enunciato lacaniano che recita “non c’è rapporto sessuale“, ma a condizione di poterlo rivolgere contro l’astratta convinzione del suo autore e dei suoi tetri e teatrali imitatori.

Dopodiché, l’omelia di Recalcati si sposta sulla pandemia, come se la confusione inscenata dalle astratte speculazioni non bastasse ancora e il suo spirito di parte (per non dire anche di partito) avesse la pretesa di spacciare una nuova fede di tipo psicoanalitico. L’atteggiamento di chi va a caccia di visibilità è dunque da condannare come vanità se sono gli altri a ricercarla (Agamben, Cacciari e indistintamente tutti i no vax), mentre se si tratta di Recalcati e di quanti ripercorrono i suoi stessi passi falsi ecco allora che siamo sulla retta via della vera fede.

Appare dunque chiaro che porre le cose nei termini in cui le pone Recalcati — il quale si limita ad una riduzione della complessità, promuovendo un atteggiamento di cieca fiducia nei confronti della scienza — oggi è fortunatamente superato. Si tratta infatti di consultare non uno ma più specialisti, affinché ciascuno possa esprimersi rispetto ad un tipo di intervento o a quello che invece propone un altro chirurgo. Ma il modo elementare in cui Recalcati presenta la sua “verità” sembra non tenere in considerazione il metodo comparativo, atteggiamento che si può tradurre come una manipolazione di tipo ideologico volta a sfruttare la popolarità mediatica per indurre a fare qualcosa senza le opportune riserve che il caso impone.

Dopodiché, la percezione di Recalcati è quella di uno che dice di sentirsi libero anche se deve mostrare il green pass, ma ecco che ancora una volta la sua logica naif è funzionale all’occultamento reale del problema. Ciò che è in questione, infatti, non è se una volta che hai fatto il vaccino e ottenuto il green pass ti senti libero o meno, ma l’impossibilità di sentirsi liberi in mancanza del green pass, considerando che senza di questo non si può avere accesso alla vita liberale di prima. Inoltre, Recalcati trascura che chiunque si trovi in possesso di questa certificazione non ha ancora sufficienti garanzie, in quanto quello che conta è il tampone di controllo e non il vaccino.

Recalcati parla poi dell’importanza delle istituzioni, trascurando ancora una volta che le istituzioni di cui parla sono le stesse che hanno stabilito alleanze con la mafia o di cui i servizi segreti si sono serviti colludendo con i terroristi neri. Insomma, un melange in cui rientra anche una nota cattolica a proposito della questione di Enzo Bianchi, ritratto come una vittima colpita ingiustamente perché al termine del suo esercizio non ha lasciato spazio a chi invece avrebbe dovuto prendere il suo posto. Un problema di autorità che anche negli ambienti religiosi non manca di presentarsi e da cui deriva che la montatura del giusto erede, altrove così tanto ripetuta da Recalcati fino ad istillarla come una verità a cui dare credito (risultato di una tecnica di persuasione grazie a cui anche la realtà può essere inventata) di punto in bianco non vale più.

In conclusione, animato da una smania onnipotente nei confronti della quale tutto il resto è niente, la costante di Recalcati sembra essere quella di un chierico indulgente che proprio perché prende le difese di qualcuno (Renzi, la narrazione sulla pandemia o l’estromissione del priore dalla comunità di Bose) ha la pretesa di avere ragione su tutto, decretando là dove il rispetto della Legge vale e là dove invece vale la contestazione della Legge. Ma un buon antidoto ai suoi libri, alle sue convinzioni limitanti e ai suoi sermoni infarciti di morale lacaniana potrebbe essere la formula dello scrivano Bartleby, il quale, nei confronti di quella che percepisce come un macchina straniante, ad un certo punto della sua vita comincia a rispondere… “preferirei di no”.

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Domenico Treccozzi

Domenico Treccozzi si occupa di critica sociale e più recentemente di Counseling rivolto alla persona, alla coppia, alla famiglia, ai gruppi ed alle organizzazioni. Interessato ad una lettura psicopolitica dei fenomeni culturali in genere, così come è stata formulata dalle teorizzazioni di Luigi De Marchi, è alla ricerca di un adattamento alla libera pratica del Counseling (di derivazione dalla migliore tradizione umanistica di Carl Rogers), secondo l'apporto integrato e strategico dei più recenti sviluppi nell'ambito della relazione d'aiuto.

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