OpinioniTecnologia

Tra un battito cardiaco e un vuoto tecnologico

A cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, la manualità era ancora considerata come una normale virtù per risolvere problemi di natura quotidiana, di routine, e che spesso potevano essere risolti con un grande bagaglio di esperienze coltivate nel tempo grazie al libro della vita reale. Ciò che però non si poteva immaginare era che in quegli anni stesse avvenendo un cambiamento storico, dalla cosiddetta ‘strada senza ritorno’ ovvero: la tecnologia avrebbe dilagato in ogni casa prendendo un posto nel palmo della mano di chiunque, quasi come se fosse un partner ufficiale e fedele, dalle stesse caratteristiche di un contratto a tempo indeterminato. Il silenzio con il quale è arrivato questo cambiamento apparentemente innocuo e repentino ha fatto in modo che le persone continuassero a vivere pacificamente, non spaventate minimamente da un piccolo schermo e qualche gioco simpatico incorporato.

I ricordi però, appaiono piuttosto vivi, nella memoria di chi fosse costretto ad andare in biblioteca per stampare una ricerca per la scuola, alla lotta per convincere i propri genitori a telefonare alla mamma dell’unico compagno di classe che sapesse risolvere le espressioni per sapere se il risultato del problema fosse lo stesso. Le giornate non erano così ricche di informazioni, di notizie e di gossip, si inventavano giochi con i propri amici, c’era un forte spirito di inventiva, risoluzione e creatività pur di sfuggire alla noia della quale però non si soffriva cosi tanto come oggi.

Conservo un ricordo felice e spensierato della mia infanzia e di come io e i miei amici di allora ci adoperavamo per sperimentare le prime emozioni. Nel mio quartiere, quando avevo nove anni, molti bambini scendevano in cortile e allestivano bancarelle maldestre per vendere le poco amate (dalle mamme) cianfrusaglie (che poi alla fine compravano solo i parenti); sul pavimento spesso c’erano ancora tracce del gioco della campana lasciato dal gesso bianco che solo  la pioggia riusciva a cancellare. Io e i miei compagni di quartiere, inoltre, eravamo molto amici del gruppo di anziani che veniva sotto la grande quercia a rilassarsi un po’ dopo pranzo. Ricordo in particolare modo Vincenzo, un signore che ci divertiva con degli indovinelli e giochi molto semplici, con uno spago ed un bottone riusciva a creare un effetto ottico che ci stregava letteralmente, spesso aveva in tasca le olive secche del proprio orto che poi distribuiva a noi bambini come se fossero caramelle. In estate, quando l’aria era afosa e il sole non risparmiava nessuno, sapevamo di poter contare sui bicchieri d’acqua del rubinetto della Perla d’Oriente, un piccolo bar dalla proprietaria gentile, che negli anni ha cambiato gestione.

Oggi sarebbe impensabile per un bambino trascorrere una giornata simile. Il sistema sembra averci costretto ad essere obbligati a non poter fare a meno di trattenere tra le falangi lo smartphone. Ma chi bisogna incolpare, se proprio bisogna trovare un capro espiatorio? La tecnologia o chi ne fa uso? I giochi all’aria aperta spesso annoiano, annoiano i discorsi degli anziani e le loro considerazioni. Non ci si adopera più a escogitare nuovi modi per intrattenere il tempo. Appare tutto noioso e bisognoso di una connessione per poter stare meglio e lì dove la connessione non c’è, ci manca l’aria. I momenti delle mappe stradali Michelin sono dei reperti memoriali. Ci sentiamo obbligati a condividere ogni momento della nostra giornata spesso con persone che non conosciamo e non abbiamo mai visto. Nel mondo odierno, i sentimenti sono confezionati su misura all’interno di una tastiera, inviati alla persona desiderata tramite un canale invisibile che neppure possiamo vedere. Ci sentiamo sicuri nella nostra comfort zone, un luogo senza rischi, pericoli, assente di fantasia, ci confortiamo nella capacità di poter creare con l’intelletto e nell’evitare la tristezza di un rifiuto di persona.

Il responsabile di questo cambiamento non è lo strumento tecnologico ma colui che anziché servirsene, ne è diventato succube. Il problema vero è che non siamo stati in grado di controllare e di razionalizzare in modo equo l’introduzione della tecnologia nelle nostre case. Chissà, forse tra 30 anni diremo “che bello quando per cercare un argomento dovevi andare a cercarlo su una enciclopedia telematica, oggi ci hanno impiantato un chip in testa e tutto è automatico”. La tecnologia e il progresso non hanno e non devono avere freni, ma occorre sapercisi rapportare e non diventarne schiavi.

Oggi le relazioni umane sembrano decorate da uno strato di apatia e sguardi persi. Non riusciamo a descriverci, a descrivere come siamo, cosa amiamo, cosa vogliamo, non riusciamo a decifrare ciò che sentiamo, a esprimere cosa davvero la nostra testa pensa e il nostro corpo sente. Può una vita virtuale occupare costantemente il nostro tempo distanziandoci da tutto ciò che potremmo amare e portare nel nostro cuore? Siamo davvero disposti a sacrificare la nostra vita tra pareti irreali e cristalli illusori? Gli unici momenti nella nostra vita che ricordiamo hanno l’impronta del realismo, nel nostro album dei ricordi non ci saranno mai tutte le ore trascorse sulla tastiera. E se nel mondo dovesse esistere una unica cosa da stringere tra le mani, quel qualcosa è proprio un’altra mano.

 

Immagine in evidenza di www.boligan.com

Mostra di Più

Roberta Cirulli

Roberta Cirulli, 25 anni, studentessa di scienze turistiche, attualmente in Erasmus a Madrid. Appassionata di natura, sistemi turistici, tradizioni, saperi, usanze e aspetti magici-religiosi e culinari delle comunità occidentali e orientali, che caratterizzano la bellezza del nostro pianeta.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button