Internazionale

Ahmadreza Djalali: scienziato condannato a morte in Iran

Ahmadreza Djalali, scienziato svedese-iraniano, lavorava presso il Karolinska Institute, una facoltà di medicina a Stoccolma e presso la facoltà di medicina dell’Università del Piemonte Orientale in Italia. È stato arrestato durante una visita in Iran nell’aprile 2016 e condannato a morte nell’ottobre 2017 , accusato di cospirazione per conto della Svezia, dove vive ancora la sua famiglia, e di Israele.

Tutti i cittadini iraniani con doppia cittadinanza, spesso ottenuta attraverso matrimoni con stranieri o dopo aver studiato o per lunghi soggiorni di lavoro all’estero, corrono il rischio di essere scoperti e condannati per spionaggio ogni volta che tornano nel loro Paese di origine.

Djalali ha spiegato in una lettera trapelata dal carcere di essere stato condannato perché si era rifiutato di usare i suoi rapporti accademici con le istituzioni europee per spiare per conto del regime. Il 17 dicembre 2017, una televisione di stato iraniana ha trasmesso la sua “confessione”, con una voce di sottofondo, presentandolo come una spia.

Il medico ha denunciato che il processo si basava su confessioni estorte sotto tortura. Non gli è stata concessa la presenza di un avvocato ed è stato minacciato di morte durante l’interrogatorio. Ai suoi avvocati è stato anche impedito di appellarsi alla Corte Suprema. Djalali nel frattempo ha anche iniziato uno sciopero della fame per protesta.

Mentre era in carcere gli è stata concessa la cittadinanza svedese, nel febbraio 2018, solo pochi mesi dopo che la sua condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema iraniana.

La condanna a morte di Djalali è stata ampiamente condannata da gruppi per i diritti, tra cui Amnesty International e da esperti dei diritti delle Nazioni Unite.

La settimana scorsa il ministro degli esteri svedese Ann Linde ha riferito di aver parlato con la sua controparte iraniana per opporsi formalmente alla sua esecuzione.

Linde, che ha annunciato la chiamata su Twitter, ha detto di essere stata in contatto con il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif a seguito delle notizie secondo cui l’Iran si stava preparando a eseguire l’esecuzione di Djalali. “La Svezia denuncia la pena di morte e sta lavorando per non far eseguire la sentenza contro Djalali”, ha scritto Linde in un post su Twitter.

La moglie dell’accademico imprigionato ha detto all’agenzia di stampa TT che suo marito l’aveva informata che sarebbe stato trasferito in un’altra prigione dove avrebbe aspettato la sua condanna in isolamento, indicando che un’esecuzione era imminente.

Ma questa settimana è trapelata la notizia che l’esecuzione della sentenza di condanna a morte è stata rinviata di qualche giorno. A dare la notizia è stata l’associazione umanitaria Iran Human Rights. La stessa associazione l’1 dicembre aveva detto che l’esecuzione avrebbe potuto essere eseguita la scorsa settimana, dopo che lo scienziato era stato trasferito dalla prigione di Evin a quella di Rajai Shahr, trasferimento che solitamente prelude a una esecuzione.

Se venisse ucciso sarebbe la prima esecuzione in Iran di una persona con la doppia cittadinanza. La scorsa settimana l’Iran aveva rilasciato l’accademica britannico-australiana Kylie Moore-Gilbert in cambio di tre iraniani accusati di far parte di un complotto terroristico in Thailandia. Iran Human Rights ha dichiarato che «Ahmadreza Djalali è a rischio di esecuzione imminente e solo una reazione forte e urgente da parte della comunità internazionale può salvargli la vita».

Cosa possiamo fare? La cosa più importante è parlarne, far sì che ci sia una forte reazione da parte della comunità internazionale. Seguire le pagine di associazioni per i diritti umani come Amnesty International Italia, fa sì che abbiamo sempre a nostra disposizione informazione corretta.

Inoltre sul sito charge.org si può trovare una petizione lanciata da #IranProtestsItalia e diretta al leader spirituale della Repubblica dell’Iran, Seyed Ali Khamenei e al capo del Sistema Giudiziario, Ebrahim Raisi. Si chiede di revocare immediatamente e senza condizioni la sentenza della morte di Ahmadreza Djalali e di liberarlo immediatamente e senza condizioni in modo che possa ritornare dalla sua famiglia in Svezia. La petizione si può firmare liberamente.

 

Immagine in evidenza: Amnesty International Italia.

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Chiara Gianferotti

Chiara Gianferotti, 24 anni, ha sempre o un libro o una valigia in mano. Vive a Madrid ed è laureata in Lingue per l’Editoria, con un master in Editoria e Traduzione. Attualmente si occupa di editing, traduzione e comunicazione editoriale come freelance. La sua più grande passione è scoprire nuove librerie e parlare di libri su Instagram.

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