Opinioni

#STOPHIV e #STOPAIDS: cosa succede quando il mondo punta i riflettori su altro?

Lo scorso 1 dicembre, muniti di fiocchetto rosso, abbiamo osservato e condiviso tutti i messaggi importanti del #WorldAidsDay, la giornata mondiale contro l’AIDS. Prevenzione e controllo, queste sono le parole chiave che emergono dai messaggi condivisi dalle Istituzioni sanitarie, dalle associazioni (LGBTQI+ e non) e da diverse multinazionali del settore, in prima fila le produttrici di preservativi, le quali si sono fatte portavoce di diversi progetti di sostegno alle realtà che fanno informazione e supporto sul territorio, come il MIT (Movimento Identità Trans) di Bologna e il Milano Checkpoint del capoluogo Lombardo.

Rimbalzatissime sui social tantissime infografiche, di carattere didascalico e para-ludico: l’obiettivo comune è stato quello di diffondere consapevolezza a tutta la comunità, soprattutto quella più giovane. Minore spazio è stato dato nei media tradizionali, che sono rimasti dedicati alla pandemia da Coronavirus, rifilando un trafiletto brevissimo un nemico che si combatte strenuamente da oltre 30 anni.

Era la metà degli anni ’80 quando tutto il mondo si accorse dell’esistenza di questo mietitore violento e silenzioso, che si diffondeva in sordina già da tempo. Da malattia considerata prima esclusiva del mondo gay, il suo contagio si è esteso nel mondo a macchia d’olio e con una crescita esponenziale, portandosi via uomini, donne e grandi personaggi (come Freddie Mercury, Rudolph Nureyev, Keith Haring, per citarne alcuni) senza distinzione alcuna. I dati del 2018 stimano che nel mondo ci siano 37,9 milioni di persone che convivono con l’infezione da HIV. Sì, convivono, perché gli sviluppi della ricerca scientifica hanno fatto sì che si sviluppassero terapie che permettono l’abbassamento della carica virale ad una soglia pari allo zero (se il paziente viene preso in tempo) e garantire non solo la non-infettività, ma anche una buona qualità di vita, rallentando o addirittura evitando che si sviluppi l’AIDS (che è appunto la malattia degenerativa causata dal virus HIV).

In uno scenario del genere, appare quindi fondamentale assicurare tracciamento dei casi e attivazione dei protocolli necessari. Anche un giorno in meno può fermare la rete del contagio e rallentare la diffusione di questo nemico. Ma in un mondo che si ferma e punta tutti i riflettori su un solo protagonista in scena, come pensiamo stia andando il monitoraggio dei nuovi casi e il supporto ai sieropositivi?

Le associazioni che in Italia si occupano di questo tipo di attività, hanno lanciato un grido di allarme, preoccupate per la chiusura di alcuni centri che si occupavano delle terapie e dei test. Il pericolo è quello che alcune persone in trattamento siano costrette a interromperlo, poiché impossibilitate nel reperire i medicinali necessari, e che aumenti la notifica di positività da parte di late presenters (i soggetti che arrivano tardi a scoprire l’infezione da HIV e che purtroppo potrebbero avere un’ampia rete di contagio alle proprie spalle). Spesso infatti non ci si cura nel proprio territorio, e si rivolge a quelli limitrofi che hanno realtà più consolidate: il blocco delle regioni e l’incertezza negli spostamenti in questo caso diventa un pericolo tangibile. Tutto questo potrebbe sfociare in una impennata di ripresa della malattia che il mondo non può permettersi e non deve lasciare che accada.

Al pari dei malati di cancro e di altre patologie messe all’angolo dalla pandemia in corso, è fondamentale dedicare spazio e attenzione necessari a nemici che combattiamo strenuamente da decenni. Fondamentale è riprendere a fare informazione consapevole nelle scuole, anche di primo grado e non solo nei licei e negli istituti. Disseminare conoscenza in modo che passi davvero l’importanza fondamentale della prevenzione, e che non sia un momento di distrazione dalle lezioni curriculari, come spesso viene considerato da alcuni studenti e insegnanti. Servono testimonianze, racconti, esempi pratici di cosa si fa e cosa no e di cosa funziona e quali percorsi vanno seguiti. L’unico scudo reale contro questo antagonista è bloccarlo sull’uscio: formare cittadini consapevoli ci permette di sbattere la porta in faccia al virus.

È un momento di riflessione generale su tante cose, lo sappiamo. La sfida digitale, le infrastrutture, le istituzioni, sono tutti argomenti sul tavolo di discussione del futuro. Portiamo anche questo, parliamo di quanto è importante. C’è una emergenza sanitaria mondiale, impossibile dimenticarlo, il Covid ha stravolto le nostre vite: non permettiamogli di portarsi via tutto il vantaggio che abbiamo guadagnato sul suo triste collega. Educhiamo ed educhiamoci al sesso sicuro, all’uso dei profilattici, alla non condivisione di aghi e siringhe, alle terapie PrEP e PEP. Facciamoci tutti primi portavoce di messaggi di solidarietà e responsabilità, non abbassiamo la guardia ed estirpiamo lo stigma della sieropositività = morte: ormai viviamo in un mondo dove a far danno siamo più noi con le nostre parole, che un virus dalla carica azzerabile. Sta a noi.

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Carlo Colleluori

Carlo Colleluori, 24 anni, ballerino a tempo perso e dottore in Scienze della Comunicazione e laureando magistrale in Media, Arti, Culture. È appassionato di lettura, serie tv e parchi a tema. Attivo anche nel sociale attraverso diverse associazioni, cerca ogni giorno di combattere e dare una voce ai diritti di tutte e tutti.

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