Cinema

Away spicca il volo per Marte (ma si porta dietro un po’ di stereotipi)

Indossate le tute, allacciate le cinture e preparatevi a prendere la rotta che tutti aspettiamo dal giorno dopo l’allunaggio: Away, una delle ultime serie di casa Netflix, disponibile sulla piattaforma dal 4 settembre, vi accompagnerà dritti verso Marte. In un futuro non molto lontano (se non addirittura contemporaneo), un gruppo di astronauti internazionali, guidati dal capitano Emma Green (Hilary Swank, due volte premio Oscar per Boys don’t cry e Million dollar baby), condurrà un viaggio introspettivo, avvincente e pericoloso alla volta del pianeta rosso, lasciando in stand-by per tre anni sulla Terra famiglia, affetti, amori.

“Più sarò distante dalla Terra, più si starà avvicinando il momento in cui tornerò da te”, questa è la dimensione sentimentale in cui ci tiene la serie.

La piattaforma della grande N stavolta prova a conquistare lo spazio, proponendo un racconto bilanciato tra azione e affetto, ideato da Andrew Hinderaker (che ha lavorato anche in Penny Dreadful). Sciolto nell’arco di 10 episodi da 50 minuti ciascuno, l’intreccio narrativo punta a raccontare la dimensione umana degli astronauti e dei loro corrispettivi a Houston: per questo sullo schermo vediamo le persone oltre la tuta spaziale, con i dubbi, le difficoltà e le complicazioni che possono raggiungere un gruppo di professionisti lontani per così tanto tempo da casa.

La trama di base, come già accennato, è molto semplice e non si verificano esplosioni spettacolari alla Armageddon o grandi scene di avventura. Dopo la partenza emozionante, infatti, il viaggio si stabilizza, diventando a tratti piano nello svolgersi, come per ricreare l’atmosfera reale dei viaggi dello spazio, senza la necessità di aggiungere laser e fiammate quando non necessarie e concentrando la tensione nel momento degli imprevisti, che ovviamente rappresentano piccoli ma fondamentali punti di svolta. Dopotutto il riflettore è puntato sulle personalità dei personaggi e quella rimane la forza della serie.

Protagonista indiscussa è il Capitano Green: seguiamo il suo percorso dicotomico, caratterizzato dall’essere un genitore, ma anche una professionista preparata. Come dirà molto spesso al marito Matt (Josh Charles) e alla figlia Alexis (Talitha Baetman), quello di Marte è anche uno dei tanti sogni della sua vita. Molto apprezzabile la scelta di far vedere una donna al comando, e di mostrare attacchi alla sua leadership mossi dal pregiudizio. Emma vivrà il picco di massima tensione lavorativa e familiare, proprio quando la figlia si approccerà alle prime avventure dell’adolescenza e il marito e collega si troverà ad affrontare difficoltà inaspettate.

Volutamente diversa è la figura di Lu (Vivian Wu), astronauta cinese, personaggio modellato sull’idea comune della donna asiatica: forte e di poche parole, ligia al dovere, devota alla famiglia e alla nazione. In più momenti vedremo lo schiudersi di questo fiore di ciliegio in una apertura prevedibile (ma non per questo meno tesa ed emozionante) verso i modelli più a stelle e strisce di amore, ribellione e libertà. Altrettanto stereotipata è anche la costruzione del cosmonauta russo Misha (Mark Ivanir). Membro più anziano della missione, verrà raccontata la storia turbolenta della sua preparazione e del suo freddo passato, che ovviamente tornerà in gioco prepotentemente. Interessante il personaggio di Kwesi (Ato Essandoh), inglese, esperto botanico e per questo un po’ fuori dalla “cerchia degli astronauti”: questa posizione darà modo di raccontare il suo legame con la fede e le sue origini ghanesi. Brillante, solare ma estremamente solo è, infine, il medico di bordo indiano Ram (Ray Panthaki), che si rivelerà un personaggio di grande spessore e profondità con una storia appassionante e tormentata alle spalle.

Away cerca insomma di non farsi mancare nulla. Inserisce tematiche queer, affronta il tema della discriminazione razziale e delle identità religiose e entra ed esce di continuo dalla stanza del binomio dovere/istinto. Il tutto viene racchiuso all’interno di una nave spaziale (l’Atlas), che in alcuni momenti strizza l’occhio agli amanti dell’azione, in altri diventa una scatola più riflessiva, simbolo di qualcosa di più profondo.

È una serie godibile e interessante, che riesce anche nel difficile compito di lanciare la palla allo spettatore per alcuni spunti di riflessione sulla contemporaneità. Quanto lontano vogliamo andare, quanti compromessi ci aspettano e quante cose siamo pronti a lasciare dietro di noi, pur di raggiungere le stelle?

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Carlo Colleluori

Carlo Colleluori, 24 anni, ballerino a tempo perso e dottore in Scienze della Comunicazione e laureando magistrale in Media, Arti, Culture. È appassionato di lettura, serie tv e parchi a tema. Attivo anche nel sociale attraverso diverse associazioni, cerca ogni giorno di combattere e dare una voce ai diritti di tutte e tutti.

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