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Ma noi viviamo in una democrazia o in una illusione?

Carissimi amici se avete voglia di perdere 10 minuti del vostro tempo condivido con voi alcune riflessioni domenicali.
Ma principalmente pongo a tutti voi una domanda:
Ma noi viviamo in una democrazia o in una illusione?

Secondo me la grande anomalia della nostra democrazia è di non essere nata come in Inghilterra, Francia o Stati Uniti da una durissima guerra civile combattuta dall’intero popolo, spaccato a metà, per decidere la forma dello stato. In Italia, nonostante tutte le grandi discussioni se fu Resistenza o guerra civile, non vi è stata una guerra civile come quella inglese o americana combattuta solo da inglesi e americani. La democrazia non è stata il risultato indiscutibile di uno scontro militare e politico di tutto un popolo, per il quale, alla fine, chi ha vinto non ha eliminato gli avversari, perché essi erano l’altra metà del paese e non si poteva emarginarli dalla vita politica di un sistema fondato sul parlamento. In Inghilterra, vincitori e vinti non hanno mai messo in discussione il sistema, perché finita la guerra civile, si è aperto un nuovo capitolo, nel quale agli avversari non è mai stato dato l’ostracismo, come nelle democrazie antiche, dove soltanto dopo molti anni si concedeva l’amnistia, il ritorno in patria.
Nelle democrazie moderne non si dà l’ostracismo e non c’è bisogno di amnistie, come in quella antica. Hume inorridiva pensando ad Atene dove si dava l’ostracismo, era fiero di essere inglese e non un abitante di qualche staterello del Mediterraneo, dove poteva accadere di tutto. La democrazia inglese non è nata perché gli inglesi hanno perso una guerra e qualcuno ha chiesto loro di cambiare sistema politico, né gli inglesi si sarebbero mai alleati a un esercito straniero per ammazzarsi come fecero abbondantemente, perché erano già una nazione con le idee chiare. Gli inglesi non fecero la guerra civile, conclusasi alla fine con una rivoluzione politica – gloriosa perché pacifica e desiderata da entrambe le parti – per fare un’altra rivoluzione. La rivoluzione l’avevano già fatta, ne erano fieri, non avevano più “pulsioni rivoluzionarie”.
L’Italia è nata come è nata, all’insegna dell’improvvisazione e questa improvvisazione l’ha scontata crudelmente, procedendo come una barchetta alla mercé di tutti i venti: da qui le pulsioni di ogni tipo e la difficoltà per le classi politiche di capire cosa significhi davvero sovranità e quali siano i compiti del potere giudiziario, che non può mai contrapporsi a quello legislativo in una democrazia. Proprio per questi limiti, i politici italiani sono stati trattati come camerieri e stallieri da utilizzare e gettare da chi ha il potere di fare e disfare gli italiani.
Per questo in Italia basta una campagna stampa per fare cadere un governo e, alle volte, anche meno, un avviso giudiziario pubblicato dal grande quotidiano nazionale. Il problema principale della sinistra non è diverso da quello della destra, perché se la politica italiana non riesce a fare la sua gloriosa rivoluzione, qualsiasi governo di destra o di sinistra sarà sempre sull’orlo del naufragio come la navicella Italia. Per questo, come scrisse una decina e più di anni fa Gaetano Quagliariello rivolgendosi a Bertinotti, occorre una discussione seria e franca sulla nostra democrazia. È anche importante chiarire che non siamo negli anni Venti o negli anni Trenta: non si è appena conclusa la rivoluzione bolscevica, non c’è un Lenin – la sinistra lo sa – e non c’è un Mussolini che tenta una terza via – la destra lo sa. Dobbiamo diventare un paese normale, come vorrebbe la sinistra moderata, l’erede del vecchio PCI e del PSI di Pertini. Per averlo occorrono uomini e donne disposti a fare la gloriosa rivoluzione italiana.
Una rivoluzione profondamente onesta, culturale e contro gli interessi dei politici moderni, ma a favore, assolutamente a favore, di una ideologia di democrazia condivisa, aperta, senza confini e principalmente altruista.
Una ideologia che non può e non potrà mai trovare terreno fertile nelle estremizzazioni. Sia essa di destra o di sinistra. Che non potrà mai trovare spazio pensando di escludere il resto del mondo da noi e che non potrà mai rinunciare al concetto evolutivo di perdita di sovranità e nascita degli Stati Uniti d’Europa. Unica possibilità per noi e per gli altri Stati di poter combattere e sopportare ed opporsi allo strapotere economico e finanziario degli USA, della Cina, dell’India ecc.

O abbiamo il coraggio di azzerare, con ogni mezzo, con ogni lotta, con tanto coraggio, il nostro attuale sistema politico o rimarremo per sempre un paese di cazzabubboli abituati a mangiare e rimangiare la stessa minestra riscaldata illudendosi che sia nuova.

Io Non riesco a pensare ad una idea di democrazia senza che la mia mante ritorni alle parole di Sandro Pertini:

“Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [… ] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana.
Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [… ]”
Sandro Pertini

Un saluto a tutti

Marcello Gianferotti

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MG

Marcello Gianferotti, classe 1966, ha iniziato a viaggiare all’età di 15 giorni. Prima la Tunisia, poi il Madagascar, l’Italia e ora la Spagna: non si è mai fermato. Grande appassionato di scrittura, è referente iberico del circuito Sviluppo Europa e gestisce, oltre a SamizdatVoz, anche il suo blog culinario marcellogianferotti.org.

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