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Il mondo ci ha partorito liberi, ma l’uomo detta confini e limiti

Il gene della scoperta è parte del processo di evoluzione dell’uomo che lo trascina lontano da casa proponendogli una prova di adattamento, una realtà ricca di nuove bellezze e soprattutto frammenti e spicchi di vita memorabili. Tra gli innumerevoli dilemmi esistenziali, l’uomo non si è mai domandato se fosse realmente in diritto di poter entrare nella quotidianità altrui o sbirciare usanze religiose, pratiche e saperi di un popolo come se fossero su un palcoscenico (pensiamo al culto dei morti a Tana Toraja in Indonesia).

Non esiste una guida per essere dei bravi turisti, tantomeno esistono dei parametri sociali per esserlo. Nell’organizzazione di un viaggio assumono maggiore priorità questioni invertebrate e confettate piuttosto che circostanze pertinenti tipiche del ‘bon côté’, basta acquistare il proprio biglietto aereo con anticipo, calibrare con attenzione i propri risparmi per qualche mese e poi concludere l’opera con l’acquisto di vari souvenir iconici al duty free dell’aeroporto.

È probabile che ci sia una connessione tra essere turisti e disporre di determinate ideologie e il dubbio legittimo sorge nel momento in cui, un viaggiatore che ha visitato il Taj Mahal e si è divincolato tra strade dipinte dal profumo di curry e cumino, al rientro in Italia non può fare a meno di disprezzare l’indiano che vende gioielli nel negozio all’angolo della traversa davanti casa.  Mi domando spesso se un turista che abbia criticato ed odiato per anni le politiche favorevoli all’accoglienza degli immigrati si possa sentire in diritto di visitare la grande sfinge di Giza o di tempestare la flora e la fauna con i safari invasivi in Tanzania.

Essere turisti non è solo la rappresentazione di un moto fisico o di capitali ma simboleggia la reincarnazione di un percorso emotivo, volto a far immergere il visitante nella popolazione locale ponendolo dinnanzi ad un percorso sensazionale decorato da colori, profumi, prodotti artigianali e piatti tradizionali. È curioso osservare come reagisce il nostro corpo quando si attraversano diversi fusi orari ma è alquanto curioso notare che la luna che si osserva dal proprio balcone di casa è identica a quella che si riflette nel mare che bagna le isole Galapagos.

Essere un turista o amare il turismo è una politica gentile di accoglienza reciproca che non giudica, non invade ma in silenzio cerca di trasformarsi da spettatore a parte integra del popolo che, attenzione, non è un fenomeno da baraccone ma semplicemente una parte di mondo visibile e senza barriere. Non si comprendono e giustificano le motivazioni che portano l’essere umano ad essere perennemente alla ricerca di qualcuno da dichiarare nemico, qualcuno da ‘affondare’ e ‘calpestare’ come se la vita fosse una eterna battaglia navale.

Questa mania di pensare che il proprio pensiero equivali alla verità assoluta universale e che la bandiera della poca tolleranza per le diversità altrui debba essere sbandierata almeno una volta al giorno come se fosse un rito obbligatorio imposto da un sistema dittatoriale invisibile. C’è una sorta di valore viscerale nell’essere turisti e amanti dei popoli che non riguarda il “farlocco” turismo ipocrito consumato nei resort multinazionali che sovrastano le imprese locali seminando povertà a discapito degli abitanti del luogo e a favore dei guadagni delle stesse nazioni che accentuano con le proprie politiche le disparità etniche e culturali, e che promuovono indirettamente movimenti improntati al razzismo.

Se qualcuno non parla italiano, se i vicini arabi cucinano il tabulè, se l’odore di ambra ti infastidisce e se i barconi pensi che debbano restare lì, resta anche tu, lì dove sei e non sentirti nel giusto se la cultura architettonica islamica ti piace, ma cambi posto se accanto a te, in treno, non si siede un uomo bianco. Non rispecchia la vera essenza del viaggio visitare Real Alcazar a Siviglia o l’Alhambra a Granada, ma al rientro dalle proprie vacanze, davanti al primo TG televisivo, si è pronti ad associare la popolazione musulmana ad attentatori e terroristi. Siamo gente di mondo, siamo un popolo nomade che nella nostra vita terrena sosta in una località che non ci appartiene e che non ci concede il permesso di dettare limiti e confini, possiamo però intraprendere un processo di apertura totale a nuove sensazioni che non ci rende opportunisti ma giusti.

Se dovessi pensare a cosa scrivere in una ipotetica guida per essere ‘un buon turista’ scriverei nella prima pagina che prima di essere dei viaggiatori che approfittano dei voli Low Cost e non si distaccano dalla propria GoPro nemmeno durante il pranzo, siamo persone che possono trarre dalle diversità un bagaglio glottologico, culturale e sensazionale che non guarda al diverso come un nemico da sconfiggere, ma come lo spunto per poter sviluppare sapere e conoscenza.

La diversità è un patrimonio umano da rispettare, conoscere e tutelare. La diversità dev’essere conservata e preservata nel tempo perché appartiene al lato ‘radioso’ della vita che con le proprie usanze, peculiarità e caratteristiche rende il mondo meno cupo, la stessa cupezza che appartiene a tutto ciò che è uniforme, stazionario, immutabile e regolare. L’inganno racchiuso nella mercificazione può separarci dall’esperienza emozionale e autentica ma noi possiamo scegliere se farci abbagliare dalla realtà o dai finti e infondati pregiudizi.

Uomini si nasce, ma buoni turisti si diventa con la capacita di cogliere il fascino della diversità che appartiene all’ordine naturale delle cose di questo grande viaggio che si chiama vita.

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Roberta Cirulli

Roberta Cirulli, 25 anni, studentessa di scienze turistiche, attualmente in Erasmus a Madrid. Appassionata di natura, sistemi turistici, tradizioni, saperi, usanze e aspetti magici-religiosi e culinari delle comunità occidentali e orientali, che caratterizzano la bellezza del nostro pianeta.

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