Affari

Discutibili proclami fascisti e ridicoli inneggi a Benito Mussolini

Non so se qualcuno leggerà mai quanto segue ma la situazione è talmente idiota che un chiarimento va dato.

È disarmante e deludente vedere che ancora oggi persone di destra, pseudo fasciste, inneggino ancora a Benito Mussolini. La destra di oggi (non certo quella di persone di enorme spessore culturale come Almirante) immersa nella propria ignoranza ed incapace di produrre una qualsiasi politica costruttiva, inneggia al duce o ad un nuovo duce non allo scopo di proporre una soluzione costruttiva, ma solamente con la speranza di trovare un capo, un duce, che comandi e basta. In modo da obbedire come tanti caproni senza essere costretti a pensare o decidere. Certo la cosa gli verrebbe difficile e li capisco. Poveracci. Che sforzo inutile.
Il fascismo fu solo una dittatura e sarà sempre meglio una pessima democrazia alla migliore dittatura.

Voi fascistoidi che esaltate tanto il Duce lo sapete che era un convinto attivista del PSI?
Lo sapete che era un giornalista dell’Avanti?
Lo sapete che il Fascismo nasce dalla esaltazione del pensiero socialista?
Lo sapete che Mussolini fu allontanato dal partito solo per una questione di metodo e non di merito? Questo in quanto gli veniva contestata la convinzione secondo la quale i principi socialisti dovessero essere imposti, con ogni mezzo e non socialmente e democraticamente applicati.

È semplicemente ridicolo e idiota continuare a sperare che la soluzione della nostra deriva passi per fascismo o comunismo o altri miti falsi o veri, buoni o cattivi del passato. Né Benito né Marx risusciteranno mai. Per fortuna. Dobbiamo essere capaci di evolvere quei concetti e quelle eredità storiche in principi, dialoghi e concetti costruttivi e non in nostalgici ed inutili slogan. Dobbiamo essere in grado di andare oltre. Sino a quando resteremo ancorati a quei miti la barca non si muoverà mai.

Tanto per sfatare alcuni miti fascisti, dedicate un attimo di tempo alla lettura di quanto segue.

1. Devi ringraziare il duce se esiste la pensione
In Italia la previdenza libera nasce nel 1861, con la cassa invalidi per la marina mercantile. Da qui troviamo un graduale sviluppo della previdenza sociale, dalle casse di risparmio postali, alla cassa di assicurazioni per gli infortuni degli operai sul lavoro, all’assicurazione obbligatoria anche per il lavoro agricolo. Come vediamo, quindi, la situazione era già parecchio sviluppata e dinamica ben prima della presa del potere da parte di Mussolini. Per quanto riguarda le istituzioni, nel 1907 nasce la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali; da non dimenticare nel 1898 la fondazione della “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai”, in concomitanza con la legge che sancisce l’obbligo di assicurazione per molte categorie di lavoratori contro gli infortuni a carico dell’impresa. Mussolini aveva in quella data l’età di 15 anni. L’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria solo nel 1919, durante il Governo Orlando, anno in cui l’istituto cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”. Mussolini fondava in quell’anno i Fasci Italiani e non era al governo.
Tutta la storia della nostra previdenza sociale è peraltro verificabile sul sito dell’INPS, la quale, ricordiamo, nacque sì durante il Ventennio, ma non fu altro che una riforma della CNAS, che divenne un “ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma”.
La pensione sociale viene introdotta solo nel 1969: Mussolini in quella data è morto “appeso” da 24 anni.

2. Il duce garantì l’assistenza sanitaria a tutti i lavoratori
Anche per quanto riguarda l’assistenza sanitaria vediamo una presa di coscienza graduale (importante ricordare che la mentalità del tempo era ovviamente molto diversa da quella di oggi), è quindi importante contestualizzare. La prima normativa organica in materia sanitaria viene elaborata nel 1865, occupandosi prevalentemente dell’ambito amministrativo; ma solo nel 1888 si comprende appieno l’importanza dell’igiene e si estende la normativa al riguardo.
Dovremo aspettare il 1907 per avere finalmente un testo unico che raccoglie sistematicamente tutte le leggi sanitarie e ne regolamenta la materia. Nel 1934 abbiamo un nuovo Testo Unico delle leggi sanitarie, grazie ad una sempre maggiore consapevolezza del problema, redatto con grande perizia. Con la legge dell’11 gennaio 1943, n. 138, con il nome di Ente mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori – , venne istituita la prima Cassa Mutua di Assistenza di Malattia che offriva tutele ai lavoratori rappresentati dalle varie Confederazioni e Associazioni sindacali. È lecito pensare non sia stato altro che un provvedimento volto a cercare di risollevare il consenso nell’opinione pubblica, che da metà anni Trenta stava calando drasticamente; tuttavia è a quanto pare effettivamente il primo provvedimento di così ampio respiro in questo contesto. Il 13 maggio 1947 viene istituita l’INAM, Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie, vista la necessità di rinnovare le istituzioni dopo la caduta del fascismo. Viene riformato nel 1968, garantendo l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini italiani e stranieri. Nel 1978 abbiamo una riforma della sanità con l’istituzione del servizio sanitario nazionale, volto a permettere una migliore coscienza riguardo la sanità, una migliore organizzazione e molto altro: l’INAM viene soppresso in favore delle unità sanitarie locali.

3. La cassa integrazione guadagni è stata pensata e creata dal duce
La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale che integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori sospesi o che lavorano ad orari ridotti. Nasce nell’immediato dopoguerra per sostenere i lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra furono colpite dalla crisi e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività. Quindi la cassa integrazione guadagni nasce per rimediare ai danni causati dal fascismo e dalla guerra, che causarono milioni di disoccupati.

4. Grazie al fascismo venne fondato l’INAIL
Questo è senza dubbio vero, tuttavia va notato che questo Regio Decreto provvede all’”unificazione degli istituti per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni degli operai sul lavoro”: non viene quindi ideato nulla di sostanzialmente nuovo. Ulteriore prova di ciò, oltre all’essere scritto all’interno della legge stessa, è l’esplicito riferimento al Testo Unico sugli infortuni degli operai sul lavoro.

5. Il duce ha tutelato il lavoro di donne e fanciulli
Con questa frase ci si riferisce generalmente al R.D. 26 aprile 1923, n. 653. Sappiamo che il primo regolamento protettivo riguardo il lavoro dei fanciulli fu promulgato nel 1886 (e modificato nel 1888 e nel 1902), mentre troviamo il primo Testo Unico delle leggi di protezione del lavoro di donne e fanciulli nel 1907, ben prima dell’avvento del fascismo al potere. Leggendo la legge sulla “Tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli” del 1934 scopriamo, all’art. 25, che il R.D. del 1923 di cui sopra non è che un Regio Decreto Legge (convertito in legge nel 1925) volto ad apportare modifiche al Testo Unico, come già successo nel 1910.

6. Il duce ha dato l’assistenza ospedaliera ai poveri
La prima legge al riguardo viene emanata nel 1890. Del resto basta leggere il testo della legge che viene addotta per dare al regime la paternità di questo provvedimento per capire come stanno effettivamente le cose: “R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841, Riforma della legge 17 luglio 1890, n. 6972 […]”. Non vi è quindi alcun primato fascista, in quanto l’idea era nata da più di vent’anni ed era stata già sviluppata prima del ’23; ovviamente non è però da sottovalutare l’importanza della riforma, che contribuì ad ammodernare e riordinare diversi aspetti della cosa.

7. Il duce diede la settimana lavorativa di 40 ore
Subito dopo l’avvento del fascismo al potere troviamo la prima disposizione del periodo fascista al riguardo, “Limitazioni all’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura”, che fissa a 8 ore giornaliere (e 48 settimanali) il limite massimo di tempo per cui ognuno poteva lavorare; troviamo inoltre, però, la legittimazione di un allungamento di massimo due ore al giorno della giornata lavorativa, previo accordo fra le parti. Considerando l’inconsistenza effettiva dei sindacati nel periodo fascista e la posizione di sottomissione degli operai che ne derivò, è lecito pensare che si trovò spesso modo di abusare di questa parte (art.5). Abbiamo la settimana lavorativa di 40 ore (previe alcune eccezioni) per gli operai dell’industria solamente nel 1937, ma è necessario compiere alcune osservazioni al riguardo. All’art.4 si stabilisce che il Ministero delle corporazioni ha il potere di allungare la settimana lavorativa fino alle precedenti 48 ore in caso di particolare necessità, togliendo di fatto al lavoratore il potere decisionale in merito; sulla stessa falsa riga procede l’art.5, che stabilisce la possibilità di allungare l’orario lavorativo “per eseguire lavori preparatori o complementari […] allo scopo di assicurare l’inizio o la regolare ripresa o cessazione dei lavori ovvero per evitare inconvenienti all’esercizio o pericolo ai lavoratori”. Per le attività stagionali, nell’art. 8, viene stabilito il limite di 10 ore giornaliere quando i limiti di orario normali non fossero applicabili. Questo per far capire che parlare di un semplice abbassamento dell’orario di lavoro settimanale a 40 ore non rispecchia completamente la realtà. Notiamo poi che all’art.11 si prevede la possibilità di “annullare le disposizioni del presente decreto” in caso di situazioni che presentino un pericolo per l’economia e la sicurezza nazionali, come, ad esempio, la guerra. Non a caso con la legge 16 luglio 1940 il R.D.L. viene soppresso: i lavoratori (delle industrie, ricordiamo) hanno potuto usufruirne per ben due anni e mezzo.

8. Il duce ha avviato il progetto della bonifica pontina/bonifiche in generale
I primi lavori di bonifica di cui abbiamo testimonianza risalgono agli Etruschi del VI-V secolo a.C[37], e Togliatti, nelle celebri lezioni sul fascismo, accenna al fatto che il terreno della Lombardia “è tutto terreno bonificato con un investimento di capitali che è durato secoli”.
Prima di fine Ottocento, però, non troviamo alcuna legislazione sistematica al riguardo: abbiamo la prima con la Legge Baccarini, il cui scopo principale era sconfiggere la malaria attraverso un’ampia opera di bonifica, alla quale seguiranno diversi importanti provvedimenti. Dopo l’avvento del fascismo abbiamo il T.U. del 1923, ispirato alla legge Ruini, e successivamente la celebre legge Serpieri, con la quale si concretizza il concetto di “bonifica integrale”, spesso chiamato “trasformazione fondiaria”. L’opera di bonifica rimane uno dei pochi effettivi progressi che può vantare il regime fascista, con ad esempio un aumento nel giro di dieci anni (’22-’32) di quasi cinque volte il numero di centri urbani (da 360 a 1764), un aumento di nove volte il numero di ovini (da 11000 a 90750) e una grande estensione di parchi naturali ed artificiali – rappresentando tutto ciò appena il 54% dei lungimiranti piani di Mussolini e Serpieri; non dobbiamo però dimenticare i meriti dei precedenti governi: come risulta da uno studio di De Stefani, dal 1882-91 al 1912-21 la mortalità per malaria si era ridotta a un settimo, nelle zone bonificate la popolazione era aumentata del 64%, il valore della produzione agricola era cresciuto di circa 900 milioni l’anno e, nell’Italia settentrionale, il bestiame era aumentato del 134%. Interessante poi il fatto che fu la parte centrosettentrionale dell’Italia a trarre maggior vantaggio da questa opera, a causa della reticenza dei proprietari terrieri del Mezzogiorno ad accettare la proposta di rinnovare il sistema produttivo esistente.

9. Ai tempi del duce eravamo tutti più ricchi
Mussolini permise agli industriali e agli agrari di aumentare in modo consistente i loro profitti, a scapito degli operai, approvando ad esempio il contenimento dei salari di questi ultimi. Questo accadde fin da subito: già fra il 1922 e il 1924 i salari reali si abbassarono di quasi il 10%, e l’imposta sulla ricchezza mobile venne estesa alla classe operaia. Franck riporta che i salari reali rimasero nel “periodo eroico del sindacalismo fascista”, dal 1922-1930, attorno a quelli del periodo pre-bellico, mentre i prezzi arrivarono a salire anche del 600%(l’autore prende come riferimento Milano). La situazione venne riconosciuta anche da esponenti del Regime – un esempio fra tutti è il caso di Clavenzani, che ne “Il lavoro fascista” e “La stampa” parlò di gravi riduzioni salariali, talvolta anche del 40%. Guérin riporta dati ugualmente preoccupanti, parlando ad esempio del fatto che il salario medio di un agricoltore nel 1930 era del 40% inferiore a quello del 1919, e subì un’ulteriore riduzione del 20% fra il 1930 e il 1938 – dati che si conciliano con quelli riportati da Duggan, che ci parla, citando gli indici ufficiali, di una riduzione del 28% delle paghe agricole fra il ’28 e il ’35 su scala nazionale. Riporta poi dati offerti dalla stessa stampa italiana, che indicano una diminuzione della metà dei salari nominali fra il 1927 e il 1932 – complice sicuramente la famosa crisi del ’29, che evidentemente il governo non riuscì a controllare così bene come si ostinano a dire i nostalgici. Anche la situazione dell’Italia meridionale non migliorò: negli anni ’30 la situazione delle campagne siciliane appariva “quanto meno catastrofica”. Un altro aspetto importante della questione è l’appoggio da parte del fascismo al capitale: i prezzi degli affitti dei terreni aumentarono dopo il 1922 dal 200% al 700%; in tal modo i piccoli affittuari non furono più in grado di lavorare la terra, e vennero spinti verso il proletariato. Da non dimenticare, al di là dell’aspetto meramente economico, la distruzione dei sindacati (rimpiazzati da “sindacati” fascisti che altro non furono che fantocci del regime) e la soppressione di ogni tentativo di ottenere una certa indipendenza. Ci sentiamo tuttavia in dovere di fare nostro il rifiuto tipico dato dalle nuove esigenze della storiografia delle tesi marxiste che vedono il fascismo come semplice “dittatura del grande capitale” o mero strumento, insomma, di questo: se pure è certamente vero che la borghesia approfittò degli squadristi per allontanare il (nella realtà dei fatti inesistente o quasi) “pericolo rosso” e se inoltre, come abbiamo visto, la situazione delle classi inferiori non fu per nulla buona, è necessario tenersi alla larga da simili semplificazioni della questione, che non riescono a spiegarne diversi aspetti quali la vivace permanenza del fascismo ben dopo la fine del pericolo socialista o le diffidenze del mondo industriale verso gli ambienti fascisti – si potrebbe anzi semmai parlare di un rapporto, fino ad un certo punto, di convenienza reciproca incrinata da “reciproca diffidenza e da tensioni crescenti” – e, soprattutto, è necessario non confondere le scelte che il Governo dovette fare per non perdere il potere con un esplicito condizionamento.

10. Il fascismo permise di raggiungere il pareggio di bilancio
Questo è certamente vero, nel 1925 si raggiunse il tanto agognato pareggio di bilancio (e non nel 1924, come si legge ad esempio nella famigerata lista delle “100 opere del duce”). Non riteniamo comunque questo possa essere ritenuto particolare motivo di “vanto” per il regime per tre ordini di motivi. Innanzitutto questo risultato fu raggiunto diverse volte prima dell’avvento del fascismo, come ad esempio a metà degli anni ’70 dell’Ottocento da Minghetti e alla fine del secolo da Sonnino; si può opinare che le condizioni nel ’23 (quando le manovre per il pareggio iniziarono) erano assai peggiori rispetto a quelle dei precedenti pareggi, è tuttavia necessario tenere conto del fatto che la ripresa economica iniziò già prima dell’ascesa del fascismo al potere e che il suo raggiungimento seguì un percorso graduale. In secondo luogo non se ne coglie l’utilità pratica se guardiamo alla situazione effettiva della popolazione in quel periodo e per il resto del Ventennio; notiamo infine che questo traguardo nulla ha a che fare con il fascismo in sé, in quanto non vi sono elementi che possano far pensare ad un rapporto causale fra i due.

11. Il duce ha fatto costruire la prima autostrada italiana
Il primo progetto per l’autostrada si deve a Piero Puricelli, che introduce l’idea di una strada adibita unicamente al traffico automobilistico. Nel 1921 i suoi progetti vengono approvati, e nel ’23 viene effettivamente inaugurata in Italia la prima autostrada europea, volta a congiungere Milano ai laghi – ma non ci pare abbia senso stabilire un rapporto di causalità diretta fra il regime e ciò.

12. Il duce è stato l’unico uomo di governo che abbia veramente amato questa nazione
Riteniamo pacifico che così fosse, almeno originariamente, visto il suo forte patriottismo (che affiorò già nel suo periodo socialista e fu costante per tutta la sua vita). La sua celebre frase “Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative”, spesso citata dai suoi detrattori, non può certo essere interpretata come segno di disprezzo verso gli italiani, in quanto è plausibile pensare fosse disposto a sacrificarne qualche migliaio per migliorare le condizioni di decine di milioni di loro. Nell’ultima fase della sua vita, tuttavia, tutto sembra indicare una sua certa disillusione verso il popolo italiano: lo testimoniano ad esempio citazioni riportate da Ciano nei suoi diari, quali “Un popolo che è stato per sedici anni incudine, non può diventare martello” e “È la materia che mi manca. Anche Michelangelo aveva bisogno del marmo per fare le sue statue. Se avesse avuto soltanto dell’argilla, sarebbe stato soltanto un ceramista” – utile notare come oltre a ciò queste citazioni siano testimonianza del suo spropositato ego, uno dei grandi ostacoli per la vita politica del Paese nel Ventennio.

13. Il duce eliminò la disoccupazione
Questo è senza dubbio un dato di fatto, ma è necessario tenere conto di diverse considerazioni in merito. Innanzitutto anche nella Germania nazista e nella Russia di Stalin si verificò lo stesso fenomeno, il che dovrebbe per lo meno far riflettere sul fatto che è ben poco sensato imputare questo fenomeno alla figura di Mussolini o al suo operato in quanto fascista.
Semplicemente i grandi regimi totalitari del secolo scorso si affermarono in periodi nei quali si necessitava un grande rinnovamento e si doveva tenere attiva l’industria bellica, il che ovviamente assorbiva gran parte dei potenziali lavoratori. In parte il merito va comunque anche ad un certo impulso economico che i nuovi regimi dettero ai rispettivi Paesi, pur mantenendo la classe lavoratrice in condizioni uguali, e spesso peggiori, di prima; non dimentichiamo infine che anche l’emigrazione, seppure in minima parte, ebbe il suo ruolo.

14. Nel Ventennio i politici non erano corrotti
Questa è forse una delle argomentazioni che si sentono più spesso, e che denota una grande ignoranza riguardo l’argomento nonché una forte ingenuità. Un lavoro pionieristico al riguardo è “I soldi dei vinti”, che si ripropone di portare alla luce questo fenomeno, attraverso documenti inediti riguardo tanto la corruzione all’interno del regime quanto le razzie dei beni ebraici dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali. Parla inoltre dell’amnistia Togliatti, provvedimento che permise di mettere in libertà molti fascisti e partigiani indagati per crimini più o meno gravi, spesso dimenticato in quanto scomodo per i neofascisti impegnati a sostenere che il mondo è contro di loro e che la storiografia “ufficiale” è volta a mentire a loro discapito. Consigliamo al riguardo anche l’interessante documentario “Mussolini. Soldi, sesso e segreti”, che si ripropone di indagare i “panni sporchi del regime” alla luce dei documenti dell’Archivio Centrale di Stato sotto diversi punti di vista.

15. Il duce diede il voto alle donne
Questo è semplicemente falso, se intendiamo dire che fu il primo a farlo e se parliamo di suffragio in generale. Innanzitutto è possibile riscontrare anche in questo ambito una certa gradualità: il suffragio femminile inizia ad essere considerato nel lontano 1893, seppure in ambito prettamente lavorativo; nel 1910 viene conferita alle donne la partecipazione elettorale nelle Camere di commercio e nel 1911 viene concesso loro di partecipare all’elezione di organi dell’istruzione elementare e popolare. Durante il Fascismo abbiamo effettivamente però la legge che rende finalmente le donne elettrici in ambito amministrativo, tuttavia poco tempo dopo questo progresso viene annullato dalla riforma podestarile: così ogni elettorato amministrativo locale veniva annullato e si sostituiva al sindaco il podestà che insieme ai consiglieri comunali non era eletto dal popolo, ma dal governo.

16. La riforma Gentile ha ammodernato e migliorato la scuola del tempo
Spesso si sente parlare di questa riforma, e la si elogia a più non posso; mai i nostalgici del Fascismo si soffermano sui molti punti negativi che vi si possono riscontrare. Innanzitutto si pone come riforma reazionaria dal punto di vista culturale, in linea con l’affiatamento tra governo e Vaticano, definendo l’insegnamento della dottrina cristiana “fondamento e coronamento” dell’istruzione e reintrodotto come materia obbligatoria dalla prima classe. Va poi sottolineato il carattere elitario della riforma, frutto della filosofia gentiliana, che riteneva solo che scuola elementare e ginnasio-liceo potessero formare completamente lo spirito, mentre le altre scuole si limitavano a limitati aspetti di esso. Il potere dello Stato sull’istruzione viene rafforzato con l’istituzione di 19 provveditorati regionali, per arrivare alla sua apoteosi con la fascistizzazione dei libri di testo negli anni successivi. I costi divennero man mano sempre più insostenibili (si parla di un aumento di quasi tre volte del costo dei libri di testo rispetto al periodo pre-riforma), e con loro le tasse di ammissione e molto altro.

UN SALUTO

MG

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MG

Marcello Gianferotti, classe 1966, ha iniziato a viaggiare all’età di 15 giorni. Prima la Tunisia, poi il Madagascar, l’Italia e ora la Spagna: non si è mai fermato. Grande appassionato di scrittura, è referente iberico del circuito Sviluppo Europa e gestisce, oltre a SamizdatVoz, anche il suo blog culinario marcellogianferotti.org.

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