Cantami o Diva

Antonio Machado: modernismo, impegno civile e intimismo

Lo scarto che si avverte nel confrontare l’immagine pubblica di Machado (almeno quella che ci hanno consegnato la Storia e certa critica) e la sua poesia è ampio.

Perché di Antonio Machado (1875-1939) abbiamo un’immagine a tutto tondo di uomo impegnato: cresciuto in un ambiente, familiare e scolastico, liberale e democratico; iniziato alla Massoneria; repubblicano convinto e militante; sostenitore del Fronte Popolare, antifascista e antifranchista attivo. I suoi ultimi anni di vita seguono la sorte della sconfitta degli antifranchisti: in fuga da Madrid per Valencia; da qui in fuga per Barcellona, ultima roccaforte; e ancora la via dell’esilio volontario a Colliure, in Francia, raggiunta a piedi in un gelido gennaio. Malato da tempo di cuore, morì nel febbraio successivo – pochi giorni dopo la morte della madre. La sua bara fu avvolta nella bandiera Repubblicana.

Di tutto questo, però, è difficile trovare testimonianza nelle sue poesie. Perché Machado è stato soprattutto poeta dei sentimenti intimi e dal tratto né civile né epico: un grande poeta, certo tra i maggiori del ‘900 e non solo in lingua spagnola.

Per comprendere oggi, con occhi nuovi e predisposizione corretta, la poesia di Antonio Machado, vale attenersi alla raccomandazione di Francisco Josè Martìn (Intrdoduzione a Poesie -Soledades e Campos de Castilla, Newton Compton, 2012): “…(di) scoprire la grandezza letteraria di un poeta che vale molto di più del suo effettivo antifascismo.”

Come quasi tutti i poeti di lingua spagnola di fine ‘800 e dei primi del ‘900, Machado subì l’influsso profondo di Rubèn Darìo, uno dei padri del Modernismo. Al poeta nicaraguense  – che incontrò in Francia ai primi del secolo scorso- Machado dedicò due Elogios: nel primo, dal titolo significativo Al maestro Rubèn Darìo, vi è la riconoscenza piena:

Questo nobile poeta, che udito
ha gli echi della sera ed i violini
dell’autunno in Verlaine, ed ha tagliato
le rose di Ronsard, in quei giardini
di Francia pellegrino
da un Oltremare di sole…

E l’altro, dal titolo altrettanto definitorio, A la muerte di Rubèn Darìo (1916), in cui chiede agli spagnoli di incidere sul marmo della tomba l’epigrafe:

Nessun tocchi la lira, se non lo stesso Apollo,
nessun suoni la lira, se non lo stesso Pan.

Da Darìo, che in una poesia dedicata a Machado, lo aveva definito:

Appariva sempre
misterioso e silenzioso.
Lo sguardo così profondo
che si vedeva appena.
Parlava con un cenno
di  timidezza e orgoglio.

(Traduzioni di  Claudio Rendina)

Da quii staccherà, ma non in modo traumatico, quanto piuttosto enucleando un suo spazio poetico, intimista appunto.

Il verso di Machado è sempre morbido, quasi discorsivo, mai aulico. I paesaggi dell’infanzia, velati di una lieve malinconia; ‘le segrete gallerie dell’anima’; la ‘memoria, [di cui] vale solo/ il dono illustre di evocare i sogni’; i paesaggi nativi (‘La bella terra di Spagna/ secca, nobile e guerriera’) sono temi , se non unici, ricorrenti, in un verso nuovo, innovativo, altro dalla tradizione  classica.

Le poesie che propongo sono in qualche modo esemplificative di queste tematiche. La prima, Consejos (Consigli), nell’ineguagliabile traduzione di Sergio Solmi (Quaderno di traduzioni, Einaudi 1969); la seconda A la desierta plaza, da me curata (in Briciole di tempo, Aletti 2017).

Consigli

Sappi attendere, aspetta che la marea risalga
-come una barca in secco-, né t’inquieti il partire.
Solo chi attende sa che la vittoria tiene,
perché lunga è la vita, ed è l’arte un trastullo.
E se la vita è corta
e non lambisce il mar la tua barchetta,
senza partire aspetta e ancora aspetta,
ché l’arte è lunga – e, per di più, non conta.

A la piazza deserta

Alla piazza deserta
conduce un labirinto di stradine.
Su un lato, il vecchio muraglione ombroso
di una chiesa in rovina;
sull’altro, il muricciolo imbiancato
d’un giardino di palme e di cipressi
e, di fronte a me, la casa,
e nella casa, la grata
davanti al vetro che lievemente appanna
la sua placida e allegra figurina.
Me ne andrò. Non voglio
chiamare alla tua finestra… Primavera
viene – la sua bianca veste
fluttua nell’aria della morta piazza-;
viene a incendiar le rose
rosse dei tuoi rosai… Voglio vederla.

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