Internazionale

Il caso Marcucci: sorvegliata perché combattente in Rojava contro l’Isis

L'assurda sentenza del tribunale di Torino non è ancora stata sciolta

Le ultime notizie riguardo il caso Marcucci risalgono al 12 novembre, quando al Palazzo di Giustizia di Torino si è discusso il ricorso della difesa contro la decisione del tribunale di disporre due anni di sorveglianza speciale per Eddi Marcucci. La Corte d’appello si è riservata la decisione, ma intanto i suoi canali social sono stati oscurati.

“In aula – ha dichiarato Marcucci – sono stata dipinta come una sorta di combattente specializzata, un pericolo per chiunque abbia la sfortuna di trovarmi sulla sua strada. Sono basita. Questa e altre argomentazioni confermano l’inconsistenza del procedimento e, purtroppo, la consistenza del problema degli organi giudiziari e polizieschi di Torino, che sono completamente fuori controllo”. Davanti all’ingresso del palazzo di giustizia un centinaio di attivisti si sono raccolti in un presidio di solidarietà.

Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo i fatti.

Dopo aver trascorso quasi un anno a combattere lo Stato Islamico in Rojava, la regione curda della Siria, Eddi Marcucci, di 29 anni, è stata condannata a due anni di sorveglianza speciale dal tribunale di Torino a marzo 2020. A Eddi è vietato uscire di casa tra le 9 di sera e le 7 di mattina. Inoltre non è autorizzata a frequentare i luoghi pubblici dopo le 18 e ogni volta che si sposta dal capoluogo piemontese deve avvisare la polizia. In questo momento si trova in lockdown forzato da più di otto mesi. La sua patente di guida e il passaporto le sono stati confiscati. Non può guidare o lasciare l’Italia, in quanto il suo documento di identità non è più valido per l’espatrio. Inoltre, non può partecipare a eventi pubblici.

Socialmente pericolosa. Il pubblico ministero incaricato del suo caso, Emanuela Pedrotta, ha ritenuto che Marcucci rappresenti “un pericolo sociale”, sebbene la donna non abbia commesso alcun reato. La Procura ha ipotizzato un “crimine futuro” e ha sostenuto che Marcucci si era convertita alla “lotta contro il sistema capitalista come sua ragione di vita”.

immagine da poterealpopolo.org

Dopo aver combattuto nelle Unità di protezione delle donne curde (YPJ) in difesa del cantone di Afrin fino a giugno 2018, Eddi ha intrapreso un viaggio nella penisola italiana per raccontare l’esperienza rivoluzionaria curda, iniziata nel 2012 in Siria. In un’intervista a Euronews, Marcucci spiega che in questo modo ha esposto il “confederalismo democratico”, l’ideologia curda, in “associazioni culturali, università, gruppi di ricerca, centri sociali, congressi e scuole” in tutto il Paese. Difende il sistema di auto-organizzazione democratica curda, che si basa sui principi del municipalismo libertario, della democrazia diretta, dell’ecologia, del femminismo, del multiculturalismo e della sharing economy.

Nella loro sentenza, i tre magistrati giustificano la severità dei provvedimenti con “la costante, ostinata e latente opposizione ai provvedimenti delle autorità pubbliche” che caratterizzerebbe Marcucci. I giudici di Torino sostengono che la sua partecipazione a una manifestazione alla Camera di Commercio di Torino nel novembre 2019 è stata determinante per applicare misure così severe.

In quell’occasione gli attivisti hanno preso d’assalto la Camera mentre si teneva una conferenza per denunciare “uno scambio commerciale nel settore aerospaziale in cui sarebbe coinvolta anche la Turchia”, secondo i documenti ufficiali. Un movimento pacifico, dice Marcucci, in cui con “striscioni e volantini” si denunciava “la fornitura di materiale bellico alla Turchia. Daesh è stato un nemico dell’umanità e, dopo l’invasione della Turchia nell’ottobre 2019, lo Stato islamico sta addirittura riprendendo forza”.

“Siamo stati accusati di essere un pericolo sociale, ma la domanda è: di che società stiamo parlando? Non ho dubbi che fosse corretto e ho un profondo rispetto per questa rivoluzione”, aggiunge. Marcucci afferma che il processo giudiziario a cui è stata sottoposta è una “mostruosità” generata da “un’attenzione morbosa e persecutoria alla dissidenza sociale“. Per lei, il sistema accusatorio “non ruota attorno alla colpa o all’innocenza di una persona, ma si basa su una previsione del comportamento”.

Questa battaglia assurda sembra non essere destinata a finire. Nel frattempo, la mamma di Eddi, Roberta Lena, ha deciso di raccontare la storia della figlia in un libro: Dove sei?, edito PeoplePub, racconta il momento in cui Roberta prende coscienza che sua figlia non è andata in Rotava per portare solidarietà al popolo curdo, ma per partecipare attivamente alla sua battaglia contro l’Isis. Una battaglia in difesa di un’intera popolazione e di un modello sociale avanzato, unico al mondo.

 

Immagine in evidenza da Corriere della Sera Torino.

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Chiara Gianferotti

Chiara Gianferotti, 24 anni, ha sempre o un libro o una valigia in mano. Vive a Madrid ed è laureata in Lingue per l’Editoria, con un master in Editoria e Traduzione. Attualmente si occupa di editing, traduzione e comunicazione editoriale come freelance. La sua più grande passione è scoprire nuove librerie e parlare di libri su Instagram.

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